La visual identity della FIFA World Cup 2026 è ora ufficiale ed è molta diversa da quello che tutti si aspettavano. Cosa peraltro sensata dal momento che parliamo di un Mondiale diviso per la prima volta tra tre nazioni: Stati Uniti, Canada e Messico. Ecco, questa visual identity va oltre le apparenze: è un sistema incentrato sul branding, un contenitore modulare che funge da autentico passepartout visivo, consentendo facilmente di esprimere l’identità delle 16 città e, perché no, anche delle 48 squadre.
Sebbene possa sembrare semplice nella sua forma base, ovvero il numero 26 a cui viene aggiunta la coppa con l’immagine fotografica, quando si amplia la visione si apprezza non solo ciò che è, ma soprattutto ciò che può fare e il supporto che offre al sistema visivo di un evento complesso organizzato in tre nazioni. La sua versatilità sarà particolarmente apprezzata dai professionisti dei media di diverse estrazioni e nazioni, soprattutto nel mondo dell’advertising. La sua immediatezza di comprensione la rende facilmente personalizzabile e adattabile a tutti i livelli.
Questo approccio “work 4 work” rappresenta un grande valore progettuale: chi ha ideato questa brandi identity ha tenuto conto del lavoro che verrà realizzato da terzi e di ciò che ne deriverà fino al 2026.
Come osservatore, si può ipotizzare che l’obiettivo principale della visual identity sia quello di creare un’immagine forte e riconoscibile del torneo, indipendentemente dal suo contesto temporale. È evidente la volontà di superare le caratterizzazioni artistiche del passato, concentrandosi invece sulla funzionalità e sulla necessità di comunicare in modo efficace. Si tratta di un approccio pragmatico che pone al centro l’obiettivo di creare un’identità visiva in grado di resistere nel tempo (sebbene non si sappia se sarà legata esclusivamente a questo Mondiale o avrà un impatto più duraturo).
Dopo decenni di tentativi grafici per rappresentare la coppa, addobbata con i simboli dei vari paesi, questa volta abbiamo una rarità: una fotografia realistica del trofeo. Questa scelta è perfettamente supportata dai media digitali attuali e, soprattutto, comunica visivamente l’importanza della coppa ai tifosi fin dal primo giorno, anziché aspettare la cerimonia di premiazione. Il trofeo diventa così l’elemento centrale dell’identità visiva, viene messo “Il feticcio al centro dell’identità”, evitando il rischio che le nuove generazioni possano considerarlo un oggetto antiquato e superato. In questo modo, l’immagine del torneo diventa immediatamente riconoscibile e trasmette un senso di forza e autenticità in maniera diretta, indipendentemente dal contesto.
La Coppa del Mondo si trasforma in un vero e proprio brand e probabilmente diventerà sempre più itinerante in futuro. Questo spiega perché i poster e i loghi locali o nazionali sono un concetto troppo limitato al giorno d’oggi, fermo restando che rimarranno nella storia per il loro carattere, valore culturale e ovviamente per la loro bellezza estetica.
L’unica parte che lascia dubbi deriva da una frase all’interno del comunicato stampa di lancio, secondo il quale “questo linguaggio fa leva sull’immagine della Coppa del Mondo per l’edizione del 2026 e oltre”. Ciò significa che dobbiamo forse aspettarci un’estetica uguale anche negli anni a venire, semplicemente con un cambio di numeri e colori? Ciò andrebbe chiaramente a togliere forza artistica e varietà al messaggio ma non sarebbe nulla di inedito: già l’estetica del Super Bowl ha preso questa direzione, utilizzando loghi sempre più simili, semplicemente aggiornando i numeri romani che accompagnano la dicitura ufficiale.